Api selvatiche: impollinatori e bioturbatori del suolo

Le api di cui ci occupiamo nella nostra attività di apicoltori, sono della specie Apis mellifera; producono miele e hanno una vita sociale complessa ed evoluta. In un articolo del New York Times del 19 agosto, intitolato “Gli apicoltori che non vogliono che tu comperi più api”, l’autore spiega che negli ultimi dieci anni il numero di alveari nel mondo è aumentato del 26% (a 102 milioni): “Ora ci sono più api mellifere sul pianeta di quante ce ne siano mai state nella storia umana”. Secondo l’articolo del NY Times, questo aumento del numero di Apis mellifera va a discapito delle api selvatiche, di cui ne esistono 340 tipi anche in Ticino (https://www.apicoltura.ch/apidologia/le-api-selvatiche.html). Queste api selvatiche, il cui numero è in declino, sono quasi invisibili poiché non producono miele e vivono in nidi sotterranei o in tronchi cavi. Ma sono indispensabili come impollinatrici di piante, fiori e colture. Meno conosciuto e in gran parte inesplorato e sottovalutato, è il ruolo che le api selvatiche svolgono come ingegneri dell’ecosistema del suolo.

Esse agiscono come bioturbatori del suolo creando una rete di pori e gallerie attraverso la loro attività di scavo. Gli effetti benefici di tali macropori sulla funzione del suolo consistono nella migliore infiltrazione dell’acqua e dell’aerazione del suolo.

Lo studio di queste tane con tecniche di scavo e di colata di talco è distruttivo ed estremamente noioso. Un sistema ingegnoso per studiare la forma e lo sviluppo di queste tane nascoste è stato sviluppato da ricercatori dell’Agroscope di Zurigo (Tschanz et al., 2023). Dopo aver individuato l’entrata di una tana di un’ape selvatica, hanno infisso nel terreno un tubo di plastica largo 20 e lungo 40 centimetri (foto 1). Per un anno hanno rimosso ripetutamente questi tubi e li hanno portati al vicino ospedale universitario di Zurigo per scansionarli con un tomografo computerizzato (CT), utilizzando i parametri per lo studio dei polmoni umani. Le immagini ricavate hanno permesso una ricostruzione 3-dimensionale della tana (foto 2).

È quindi fattibile rimuovere ad intervalli regolari, scansionare e reinstallare le stesse colonne di terreno contenenti nidi attivi per quantificare l’evoluzione del sistema di tane durante un periodo di vari mesi.

Diverse specie di api selvatiche producono differenti pori e canali. Le tane create da specie solitarie (Colletes cunicularius) sono semplici, lineari (diametro 6 mm) e non ramificate (un po’ come quelle scavate dai lombrichi anecici). Non sono riutilizzate e si deteriorano con il tempo (foto 3A). I sistemi creati dalle specie sociali (Lasioglossum malachurum) sono più complessi, con reti altamente ramificate di canalicoli orizzontali e verticali (diametro 3 mm) che aumentano in complessità e dimensioni durante il periodo di attività delle api (foto 3B).

Le api scavano il nido usando le loro mandibole e le zampe anteriori e spostano il terreno fino alla superficie. Le pareti dei tubuli vengono rivestite con uno strato idrofobico, prodotto dalle loro ghiandole.

In molti dei casi studiati dagli autori zurighesi, le tane delle api selvatiche erano i maggiori contributori alla macroporosità totale del terreno.

Le api selvatiche nidificanti contribuiscono alla bioturbazione in termini spaziali e temporali in modo complementare a quello di altre specie come i lombrichi.

Gli autori intendono utilizzare questa tecnica per studiare come le api selvatiche che nidificano nel terreno resistono ai disturbi, come quelli causati dagli incendi o dalle pratiche di gestione agricola.

New York Times del 19.8.2023: Link

Si ringrazia Philipp Tschanz per la preparazione del video

Come le api riparano difetti di costruzione dei favi

L’ingegnosità e la precisione delle api nella costruzione dei favi esagonali è ammirevole. Favi esagonali forniscono un massimo spazio di stoccaggio, richiedendo una minima quantità di cera.

Due articoli recenti riferiscono sugli accorgimenti escogitati dalle api per risolvere problemi architettonici nella costruzione dei favi.

Utilizzando un sistema automatico di analisi di immagini, ricercatori del Max Planck (Smith et al, 2021) hanno individuato le irregolarità nella costruzione di favi naturali dall’Ape mellifera ligustica (Fig. 1A). Per colmare lo spazio in certe regioni del favo naturale, le api utilizzano varie forme di cellule con 4, 5, 7 o 8 lati (Fig 1B). Gli autori hanno misurato precisamente l’area, la lunghezza, la distanza tra due lati e l’angolo formato dalle cellule.

Figura 1

Gli autori forniscono poi una descrizione quantitativa dell’uso di cellule di dimensioni intermedie per eseguire la transizione tra cellule da lavoratrici (area 25.7 mm2) a quelle di fuchi (area 37.5 mm2). Le api non hanno due dimensioni fisse di cellule e modificano preventivamente le cellule esagonali piccole per tessellare quelle più grandi. Le cellule di dimensioni intermedie sono quindi i precursori architettonici di quelle grandi da fuco.

L’osservazione qualitativa della presenza di cellule intermedie era stata fatta per la prima volta nel 1815 dal ginevrino François Huber (presentatoci da Paolo Fontana durante la sua conferenza del 21.4.2023 a Lavorgo).

In un secondo articolo, ricercatori dell’Università del Colorado (Fard et al. 2022) hanno stampato in 3D dei fogli cerei con perturbazioni di tipo differente (Fig. A) e hanno osservato come le api (Apis mellifera), riparano i difetti.

Figura A

La figura B mostra che per colmare il vuoto dovuto allo spostamento orizzontale della delimitazione, le api preparano delle cellule con un intercalare di cinque (blu), sei (grigi) o sette (rossi) lati, che si adattano al disallineamento tra le regioni regolari.

Figura B

Le api non depongono le celle non esagonali a caso, bensì secondo un modello ricorrente di 5 – 7 lati che è adattato alla frustrazione geometrica imposta. I risultati sono simili a quelli osservati da Smith et al. (2021) nei favi naturali.

I due articoli mostrano come le sfide architettoniche vengano superate dalle api e il ruolo attivo che le lavoratrici assumono nel modellare il loro nido. Questo ricco repertorio di comportamenti di costruzione suggerisce che ci siano processi cognitivi dietro la costruzione dei favi da parte dell’ape, non solo istinto.

Bibliografia

  1. Smith, M.L., Napp N, Petersen K.H., Imperfect comb construction reveals the architectural abilities of honeybees. Proc Natl Acad Sci USA 2021. 118 (31): e2103605118
  2. Fard, G.G., et al., Crystallography of honeycomb formation under geometric frustration. Proc Natl Acad Sci USA, 2022. 119 (48): e2205043119.

Intervista agli autori (podcast) : https://www.pnas.org/do/10.1073/pc.25353525/full/transcript-2022-12-19-1671473386937.pdf

Nel podcast, gli autori accennano alla struttura esagonale degli atomi di carbonio nel grafene che sembra molto simile al nido dell’ape. Se un qualche problema impedisce al grafene di essere esagonale, lo stesso tipo di struttura 5 + 7 che vediamo nel nido dell’ape si forma anche nel grafene.

Trascrizione dell’intervista:

Un robot che coesiste con le api

Un Gruppo di ricercatori dell’EPFL (École Polytechnique fédérale de Lausanne) diretto da Francesco Mondada ha creato un favo robotico in grado di interagire con una colonia di api (Barmak R. et al., Sci. Robot, 2023).

Questo sistema biorobotico incorpora sensori termali e attuatori e serve come espediente per osservare e modulare il comportamento collettivo delle api. Gli esperimenti sono stati eseguiti su una popolazione di 4’000 api durante i mesi invernali. Il robot era in grado di osservare i movimenti del glomere misurando i profili termici. Era anche capace di riorganizzare il comportamento spaziotemporale del glomere, grazie alla stimolazione termica locale.

Il robot è costruito come un telaio normale e può essere integrato nelle arnie di tipo DB (Barmak et al., 2023). Questo sistema trasportabile è vantaggioso se comparato ad altri, elaborati nel tempo da vari scienziati. Una foto ingrandita si trova nell’articolo della NZZ.

Nel primo esperimento è stato osservato come le api costruiscono un glomere quando la temperatura esterna scende sotto gli 11.2°C. Il calore prodotto dal glomere veniva misurato da 64 sensori termici distribuiti sulla superficie del robot.

Nel secondo esperimento, con la temperatura esterna che variava tra -7.1° e +7.1°C. si sono misurati i cambiamenti di temperatura del glomere. Il glomere si adattava alla temperatura esterna e regolava la sua struttura per rimanere all’interno di un intervallo termico sicuro. Il centro del glomere possedeva in media una temperatura di 27°C. (video : https://www.youtube.com/watch?v=l8Vtz4hYuRw).

Nel terzo esperimento la posizione del glomere veniva influenzata dal robot, che scaldava un’area della sua superfice ad una temperatura di 25°C durante 3 giorni. Il glomere si spostava, attratto dal calore (video : https://www.youtube.com/watch?v=G0AVAWdntXc).

Nel quarto esperimento, il robot aspettava che le api si fossero avvicinate al punto calorico e poi spostava il calore in un altro posto; le api seguivano. Gli autori accennano anche alla rianimazione di un glomere , 5 ore dopo che la temperatura era scesa sotto i 10°C.

Il robot può generare stimoli termici non uniformi che possono essere posizionati all’interno o all’esterno del glomere e possono sportarsi. Questo sistema permette di osservare e influenzare il comportamento collettivo delle api in un contesto sociale intatto.

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Pubblicazione originale:

Articolo NZZ:

Scambio di email con Rafael Barmak:

Concorso fotografico Big Picture 2022

Queste api cactus (Diadasia rinconis) sono considerate insetti solitari: vivono senza la gerarchia e la struttura sociale di altre specie di api. Qui sono visti sciamare insieme in quella che è conosciuta come una palla di accoppiamento, in cui molti fuchi amorosi si raggruppano attorno a una regina. Questo raro momento è stato catturato dalla fotoreporter Karine Aigner e ha vinto il Gran Premio del concorso BigPicture 2022.

I bombi sopportano il dolore

Se lo sciroppo è molto zuccherato (40%), i bombi (Bombus terrestris) sopportano di restare con i piedi su un fondo riscaldato a 55°C [1]. Questo esperimento è stato fatto nel laboratorio di Lars Chittka a Londra. I bombi potevano abbeverarsi da tubetti contenenti differenti concentrazioni di zucchero stando su una delle quattro predelle tenute a temperatura ambiente oppure riscaldate a 55°C. Le predelle erano marcate con due colori differenti (giallo e viola) e quelle gialle portavano i tubetti con 40% di saccarosio. Le api hanno evitato le predelle a 55°C quando le predelle a temperatura ambiente contenevano sciroppo a 40%, ma hanno progressivamente aumentato l’alimentazione dalle predelle calde quando la concentrazione di saccarosio nelle predelle fredde è diminuita. I bombi si sono adattati al dolore a dipendenza del contesto e nonostante gli stimoli nocivi hanno dato priorità al cibo di alta qualità.

Con il tempo le api hanno imparato ad usare i colori delle predelle per scegliere quelle con lo sciroppo più nutriente. Questo indica che i bombi hanno una memoria associativa e gli autori sospettano che potrebbero provare il dolore. Se ciò fosse il caso, ci sarebbero forse problemi etici nell’uso di certi metodi apistici.

1. Gibbons, M., et al., Motivational trade-offs and modulation of nociception in bumblebees. Proc Natl Acad Sci U S A, 2022. 119(31): p. e2205821119.

Pubblicazione originale (open access):

https://www.pnas.org/doi/epdf/10.1073/pnas.2205821119

MRC 24.3.2023

Vaccino contro la peste americana

Una società biotech della Georgia (USA) (https://www.dalan.com/science) ha ricevuto dal dipartimento di agricoltura l’approvazione provvisoria di un vaccino per prevenire la peste americana, causata dal batterio Paenicillus larvae. Questo vaccino, denominato primeBee, sarebbe il primo approvato negli USA per trattare degli insetti (NYTimes, 7.1.2023).

È sorprendente che si parli di un vaccino, poiché le api non sono in grado di produrre anticorpi, che invece nei vertebrati riconoscono e neutralizzano i microbi.

Ciononostante, gli insetti sono capaci di acquisire l’immunità e di trasferirla alla loro prole. Una sorta di priming immunitario transgenerazionale (TGIP). Il meccanismo esatto non è conosciuto [1]. I collaboratori di Dalan, basandosi su risultati di Dalial Freitak, dell’Universitä di Graz (Austria) [2], hanno incorporato il vaccino, fatto di batteri inattivati, nella pappa reale somministrata alla regina. La regina ha sviluppato una resistenza ai batteri e l’ha trasferita alle api della sua colonia. Nei due studi pubblicati, al momento di corta durata e perciò di tipo preliminare, la riduzione della sensibilità allo sviluppo della peste americana è stata del 50%.

Jean-Daniel Charrière, capo del Centro di ricerca sulle api di Liebefeld trova i risultati interessanti e spera che saranno confermati da altri ricercatori. Una commercializzazione gli sembra prematura e non vuole suscitare troppe speranze negli apicoltori (Heidi-News, 9.1.23). Charrière è scettico anche perché, come co-autore di una pubblicazione recente [3], non ha potuto confermare la prevenzione della peste europea utilizzando un approccio simile al TGIP. Lars Straub, docente per la salute delle api selvatiche all’Università di Berna, trova che l’applicazione del metodo nella pratica apistica sarà difficile [4].

Un apicoltore leventinese pensa che se primeBee dovesse funzionare, l’applicazione pratica potrebbe avvenire solo presso i produttori di regine, che ne approfitterebbero per commercializzare regine più resistenti alla peste americana.

Fonti:

1. Tetreau, G., et al., Trans-generational Immune Priming in Invertebrates: Current Knowledge and Future Prospects. Front Immunol, 2019. 10: p. 1938.

2. Dickel, F., et al., The oral vaccination with Paenibacillus larvae bacterin can decrease susceptibility to American Foulbrood infection in honey bees-A safety and efficacy study. Front Vet Sci, 2022. 9: p. 946237.

3. Ory, F., et al., Lack of evidence for trans-generational immune priming against the honey bee pathogen Melissococcus plutonius. PLoS One, 2022. 17(5): p. e0268142.

4. Poppe, M. and A. Lemcke, Neue Bienenimpfung könnte sich auf Milliarden Insekten auswirken, in Neue Zürcher Zeitung. 2023: Zürich. p. 52-53.

Link:

Articolo originale

Commento sul New York Times 07.01.23

Neue Zürcher Zeitung dell’11.3.2023”

I bombi sono giocherelloni

Un team di biologi britannici diretti da Lars Chittka [1] ha osservato i bombi (Bombus terrestris) interagire con oggetti inanimati come se fossero dei giocattoli (“just for fun”). I bombi sono reputati come dei lavoratori instancabili ed è quindi sorprendente osservarli giocare con delle palline colorate (Fig. A. e video su “Guardian”).

Fig. A: Tre colori di palline (15 mm di diametro) sono a disposizione dei bombi: arancioni, violette e marroni. I bombi non hanno preferenze per un determinato colore.

I bombi si trovano nel nido (Fig. B.) e possono attraversare il corridoio per arrivare a succhiare zucchero (S) e a mangiare polline (P). Ma se viene data loro l’opzione, si fermano a giocare con le palline, sebbene non ci sia nessun incentivo apparente. I bombi più giovani fanno rotolare più palline rispetto ai più vecchi e i fuchi rotolano più a lungo delle loro controparti femminili. I bombi hanno fatto rotolare palline fino a 117 volte nel corso dell’esperimento.

Fig. B: Vista aerea dell’arena sperimentale contenente l’area foraggio a sinistra (S: saccarosio, P: polline), il corridoio con l’area palline e il nido a destra. Gli esperimenti sono stati registrati con l’aiuto di un IPhone.

In ulteriori test, 42 bombi hanno avuto accesso a due camere colorate, una delle quali conteneva le sfere di legno. Dopo aver rimosso le sfere, i bombi preferivano il colore della camera precedentemente associata alle palline.

Gli autori dello studio valutano questi risultati come indizi che le menti dei bombi siano più complesse di quanto immaginato. Sono anche un ulteriore sostegno all’esistenza di stati affettivi positivi in questi animali.

Dopo aver letto questa pubblicazione un apicoltore leventinese mi ha scritto: “Chissà se si tratta proprio di gioco o se sono “riflessi condizionati” dalle ripetitive attività dei primi giorni di vita all’interno dell’alveare (cfr. attività di pulizia dell’alveare e interazione tra consimili)?”.

Sarebbe interessante ripetere l’esperimento invertendo la posizione delle due camere (prima quella con zucchero e polline, dopo quella con le palline).

Fonti:

1. Galpayage Dona, H.S., et al., Do bumble bees play? Animal behaviour, 2022. 194: p. 239-251.

Link:

Video e articolo sul « Guardian » 

Articolo su Vigousse, giornale satirico romando: “Elles font le bzzzz”.

Gli elefanti hanno paura delle api

Comunicato della FAO, il giorno dell’ape, 20.5.2022.


La paura degli elefanti per i topi è un mito, mentre il timore degli elefanti per le api è
ben conosciuto dagli indigeni est-africani.
Questo timore è stato sfruttato da un gruppo di studiosi diretti da Lucy King, Università di
Oxford, per impedire agli elefanti di saccheggiare i raccolti e di invadere i villaggi.
Le arnie, appese a dei pali sono collegate tra di loro con dei fili di ferro e formano un recinto
attorno ad una casa, a un campo o un villaggio. Se un elefante si avvicina alla recinzione e
urta il filo, le arnie ballonzolano e le api allarmate escono per attaccare gli intrusi.

Sebbene la cute del corpo degli elefanti sia molto spessa, la pelle attorno agli occhi, nella bocca e all’interno della proboscide è sottile e delicata e le api prediligono pungere in queste zone. Persino il ronzio di uno sciame di api impaurisce gli elefanti, che scappano e producono anche un barrito particolare per avvertire i commilitoni (video Disney).
Un storia folcloristica locale ha quindi permesso di sviluppare un metodo ecologico per impedire degli scontri tra la popolazione e gli elefanti. Purtroppo, l’aumento della frequenza di periodi di siccità provoca un declino del numero di api. L’istruzione degli indigeni alla pratica apistica è ostacolata dalla mancanza di manuali in lingua locale.

Link:

Commento su “Geneva Solutions”

Pagina Web “Elephants and Bees Project”, con video di Lucy King

Video Disney sul progetto